
Lo scudo d'Achille
POESIE E TRADUZIONI
Lorenzo Temussi
3/21/20255 min leggere
I temi della poesia
La presente traduzione è tratta dal repertorio di Wystan Hugh Auden (1907-1973), poeta inglese naturalizzato statunitense. Il soggetto in questione, lo Scudo d'Achille, è caro a classicisti e filologi: esso è parte della nuova panoplia, il nuovo corredo di armi, necessario ad Achille per tornare a combattere. Il precedente equipaggiamento era stato perso da Patroclo a causa di un sotterfugio finito male: egli era sceso in campo vestito dell'armatura di Achille, impersonandolo, per demoralizzare i troiani, ma, scoperto il trucco, Patroclo fu ucciso e l'armatura sottratta. Teti, la madre di Achille, deve quindi chiedere ad Efesto nuove armi per il figlio.
Omero impiega molte centinaia di versi per parlare della nuova panoplia, e gran parte di queste sono per descrivere solo lo Scudo; dopo averne parlato in maniera dettagliata lo scudo “sparisce”: nessun guerriero si sofferma a vederlo o ad ammirarlo, nessun passaggio descrive più quelle immagini. Altro aspetto paradossale dello Scudo omerico è il suo programma iconografico: esso consiste in immagini perlopiù liete - città civili, danze, banchetti, natura ... - eppure il contesto in cui è calato, la Guerra di Troia, è tragico e sanguinoso.
Auden sovverte questo paradosso e, anziché uno scudo dalle immagini rassicuranti, ne presenta uno popolato da scene desolanti e atroci, probabilmente riflesso di ciò che lo stesso poeta ha vissuto al tempo della guerra.
Il finale è amaro: Teti è consapevole che portare la nuova panoplia al figlio equivale a fargli proseguire la strada che il Destino ha tracciato per lui, ovvero combattere e morire in battaglia, affinché l'esercito greco abbia la meglio.
In merito alla traduzione
Lorenzo è Maestro di Belle Arti e, attualmente, sta studiando Informatica. La sua formazione letteraria è puramente amatoriale e consiste in un’eccellente padronanza della lingua inglese e una lunga fascinazione per la letteratura italiana ed estera, soprattutto dell’anglosfera.
La cifra originale della sua traduzione è quella di essersi mosso senza i consueti principî del filologo, bensì seguendone altri personali, non maturati all’interno del percorso accademico.
Obiettivo principale del traduttore è stato quello di riproporre la lunghezza dei versi di Auden, e mantenerne la fedeltà; il contenuto – qualche sostantivo, qualche aggettivo … – potrebbe essersi in parte perso, ma il significato complessivo è rimasto.
Ciò che può lasciare più interdetti è la scelta lessicale, con un abbondante uso di arcaismi; ciò è dovuto alla necessità di pareggiare le sillabe dei versi. Gli arcaismi danno talvolta uno strano sapore alla poesia, facendola apparire come un testo inglese del Novecento tradotto da un poeta italiano dell’Ottocento – un degno compare di un Emilio Praga o di un Arrigo Boito.
Oltre agli arcaismi anche l’uso di figure retoriche talvolta ardue da interpretare (come quel «marmi ben governati», sineddoche per le città marmoree, «marble well-governed cities») potrebbe apparire artificioso, ma chiediamo al lettore di perdonare le eterodossie di Lorenzo per leggere questa inedita versione de Lo Scudo d’Achille, poesia del 1952.
The shield of Achilles
She looked over his shoulder
For vines and olive trees,
Marble well-governed cities,
And ships upon untamed seas,
But there on the shining metal
His hands had put instead
An artificial wilderness
And a sky like lead.
A plain without a feature, bare and brown,
No blade of grass, no sign of neighborhood,
Nothing to eat and nowhere to sit down,
Yet, congregated on its blankness, stood
An unintelligible multitude.
A million eyes, a million boots in line,
Without expression, waiting for a sign.
Out of the air a voice without a face
Proved by statistics that some cause was just
In tones as dry and level as the place:
No one was cheered and nothing was discussed;
Column by column in a cloud of dust
They marched away enduring a belief
Whose logic brought them, somwhere else, to grief.
She looked over his shoulder
For ritual pieties,
White flower-garlanded heifers,
Libation and sacrifice,
But there on the shining metal
Where the altar should have been,
She saw by his flickering forge-light
Quiet another scene.
Barbed wire encolsed an arbitrary spot
Where bored officials lounged (one cracked a joke)
And sentries sweated, for the day was hot:
A crowd of ordinary decent folk
Watched from without and neither moved nor spoke
As three pale figures were led forth and bound
To three posts driven upright in the ground.
The mass and majesty of this world, all
That carries weight and always weighs the same,
Lay in the hands of others; they were small
And could not hope for help and no help came:
What their foes liked to do was done, their shame
Was all the worst could wish; they lost their pride
And died as men before their bodies died.
She looked over his shoulder
For athlets at their games,
Men and women in a dance
Moving their sweer limbs
Quick, quick, to music,
But there on the shining shield
His hands had set no dancing-floor
But a weed-choked field.
A ragged urchin, aimless and alone,
Loitered about that vacancy; a bird
Flew up to safety from his well-aimed stone:
That girls are raped, that two boys knife a third,
Were axioms to him, who'd never heard
Of any world where promises were kept
Or one could weep because another wept.
The thin-lipped armorer,
Hephaestos, hobbled away;
Thetis of the shining breasts
Cried out in dismay
As what the god had wrought
To please her son, the strong
Iron-hearted man-slaying Achilles
Who would not live long.
Lo scudo di Achille
Guardò oltre la sua spalla
Cercando olivi e graspi,
Marmi ben governati,
Navi sul fiero mar,
Ma lì sul bel metallo
Poser sue mani invece
Un'artificial selva
E cielo color piombo
Una gran piana desolata e bruna,
Senza fil d'erba, senza un somigliante,
Nulla di edule, o luogo per posare;
Pur, congregato, in su quel nulla stava
Un numero incontabile,
Un milion d'occhi e di stivali in fila,
Senza espressione, in resta per un segno.
Ecco dall'aria, voce senza volto,
Con numeri a provar le mire sue
Con toni asciutti e piatti come il suolo;
Nessun gioì, nessuno disse niente,
Colonna per colonna, in nube opaca
Marciaron via, forti d'un loro credo,
Cui logica li volle, altrove, in doglia.
Guardò oltre la sua spalla,
Cercando i cari riti,
Vitelli inghirlandati,
Bevande e sacrifici,
Ma lì sul bel metallo,
Invece degli altari,
Vide fra le scintille
Scene ben d'altra guisa.
Filo spinato attorno al lotto scelto,
Ed ufficiali in ozio (uno scherza)
E sentinelle, dal sole sudate:
Una decente, quotidiana folla
Lì fuori stava, né parlò o si mosse
Quan tre figuri pallidi fuor missi
In su tre pali nel terreno infissi.
La massa e la maestà di questo mondo,
Quello che pesa, e pesa sempre uguale,
È nelle mani d'altri; né eran grandi,
Né nell'aiuto altrui speravano, e non venne:
E i nemici loro li ebbero, e vergogna
Fu il peggio atteso; e persero l'orgoglio
E morte li ebbe prima del trapasso.
Guardò oltre la sua spalla,
Cercando atleti e giochi,
Uomini e donne in danza,
Movendo gli arti belli,
Presto, presto alla musica;
Ma lì sul bel metallo
Mise non sale larghe,
Ma un campo di zizzania.
Un poveraccio, senza meta e pari,
Lì si fermò a posare; ed un uccello
Volò al riparo dalla sua pietrata:
Di giovani stuprate o pugnalati
Assiomi aveva fatto, ch'ei mai seppe
D'un mondo che rispetti le promesse
O d'uno che soffrisse per altrui.
E il fabbro labbra sottili,
Efesto, arrancò via;
Teti dai seni bianchi
Pianse di dispero
All'opera del nume
Per il suo forte figlio
Cuore di ferro, Achille [Che molte anzi tempo all'orco]
Cui poco tempo spetta.

