
La rivoluzione del Bordello Filosofico
La fortuna critica delle Demoiselles d'Avignon e di Pablo Picasso
SAGGI, RECENSIONI E ARTICOLI
Asia Secondi
5/16/202510 min leggere


Fin dalla sua creazione, il dipinto di Picasso ha suscitato reazioni contrastanti, perfino tra i suoi più ferventi sostenitori: le innovative soluzioni formali adottate provocarono sconcerto e aspre critiche. Tra i primi a esprimersi sulle Demoiselles di Picasso, ci fu André Salmon (1881-1969), poeta, critico e grande amico dell'artista. Nella sua opera La jeune peinture française, realizzata tra marzo aprile del 1912, Salmon definì il quadro «quasi astratto», talmente era rimasto colpito dalla deformazione delle cinque figure, da lui paragonate a «maschere quasi liberate dall'umanità»[1]. La scelta lessicale utilizzata da Salmon non sorprende, visto che lui stesso, avendo una certa familiarità con l'atelier di Picasso, in un articolo, riferì che su tutti i mobili «vi erano strane figure lignee con smorfie insolite»[2], chiaramente riferendosi alle maschere e sculture africane che Picasso amava collezionare. Poco dopo seguì l'apologia di Daniel-Henry Kahnweiler (1884-1979), gallerista e curatore nonché uno dei principali sostenitori del cubismo. Nel suo libro, Der weg zum kubismus, scritto nel 1915, Kahnweiler descrisse la sua reazione di fronte alle famigerate donne di Picasso ammettendo di aver inizialmente percepito la tela come incompleta. Ciononostante, ne elogiò l'ambizione definendola «un disperato scontro titanico con tutti i problemi della pittura contemporaneamente»[3]. Per Kahnweiler l'opera rappresentò l'inizio del cubismo.
Tuttavia, studi più recenti hanno evidenziato come il dipinto possa essere considerato più l'apice di un periodo di sperimentazione personale di Picasso che l'inizio di uno dei più importanti movimenti d'avanguardia del XX secolo. Ciò non toglie che con questa grande tela Picasso abbia posto le fondamenta di una prima rivoluzione artistica, mostrando una pittura «notevolmente strana, di grande violenza e di una libertà assoluta»[4]. Gertrude Stein (1874-1946), figura di spicco del primo Novecento, paragonò il dipinto ad un vero e proprio cataclisma, ma si convinse ben presto d'essere di fronte a qualcosa di meraviglioso. Tra la Stein e Picasso vi era un forte legame di amicizia e alla scrittrice americana si può attestare il merito di aver riconosciuto subito il genio dello spagnolo. Fra loro vi era una stretta collaborazione che travalicò i confini della pittura e della letteratura e non si limitò solo al ritratto (Ritratto di Gertrude Stein) che l'artista le fece nell'autunno del 1906. Difatti Picasso era tra i principali protagonisti delle opere scritte dalla Stein, in particolare dell'Autobiografia di Alice B. Toklas, scritta nel '33. Con l'ingegnoso escamotage di far narrare alla sua compagna Alice la propria autobiografia, Gertrude porta alla luce memorie e testimonianze non solo sue, ma anche di molti artisti e intellettuali che, in quel periodo, frequentavano il loro salotto in rue de Fleures. In queste pagine emerge il timore iniziale di Alice di fronte all'inquietante bellezza delle Demoiselles[5]. Fu lo stesso Picasso a chiarirle in seguito che «ogni capolavoro viene al mondo con una dose di bruttezza congenita. Questa bruttezza è il segno della lotta del suo creatore, per esprimere un concetto nuovo in maniera nuova»[6].
Les Demoiselles d'Avignon rappresentano una svolta radicale nella pittura di Picasso, segnando una rottura con la tradizione e inaugurando una nuova era dell'arte moderna. L'artista affronta il tema del rapporto tra pittura e realtà, affondando le sue radici nell'anarchismo delle cerchie frequentate[7]. L'opera, profondamente influenzata dall'arte primitiva iberica e africana e dalle riflessioni di Cézanne - in particolare attraverso l'iconografia delle Bagnanti - sconvolse i contemporanei di Picasso, in particolare i suoi colleghi Fauves. André Derain (1880-1954) espresse un giudizio estremamente negativo sull'opera, profetizzando che prima o poi Picasso si sarebbe «impiccato dietro la sua grande tela». A parer suo chiunque avrebbe trovato il quadro orribile e in un certo senso folle[8]. Anche Henri Matisse (1869-1954), legato a Picasso da un'amicizia complessa e competitiva, rimase turbato dalla violenza formale e dalla radicalità dell'opera. Forse fu proprio questo che nell'autunno del 1907 - a soli pochi mesi dalla rivelazione delle Demoiselles - lo spinse a donare a Picasso il Ritratto di Marguerite, ovvero sua figlia. In questo quadro, caratterizzato da una palette cromatica tenue e da forme morbide, Matisse sembra voler affermare un'estetica opposta a quella dell'artista spagnolo, contrapponendo la dolcezza e la serenità alla brutalità e all'inquietudine delle donne picassiane.
Sebbene oggi Les Demoiselles d'Avignon sia un'opera universalmente nota e ammirata, nell'estate del 1907 solo poche persone ebbero l'occasione di vedere l'opera, perché rimase confinata nello studio di Picasso fino al 1916. In quell'anno fu esposta alla mostra organizzata da Salmon nell'atelier dello stilista Paul Poiret (1879-1944). Il ristretto gruppo di amici e conoscenti che ebbe la fortuna di vedere per primo il dipinto ne fu profondamente sconcertato. Per affrontare lo shock e sopravvivere all'attacco visivo ed emotivo provocato da figure femminili così innovative e selvagge, i presenti dovettero rifugiarsi nell'ironia. Picasso stesso confessò a Kahnweiler che a ciascuna delle prostitute rappresentate era stato attribuito un nome reale ed erano state associate persone vicine alla sua cerchia ristretta, come per esempio la nonna di Max Jacob (1876-1944), amico dell'artista, con cui aveva intrecciato un sodalizio umano, artistico e intellettuale. Un'altra era Fernande Olivier, la sua compagna e musa dal 1904 al 1912[9]. Dopo l'esposizione del 1916, l'opera passò nelle mani del collezionista Jacques Doucet (1853-1929) e infine nel 1937 venne acquistata dal Museum of Modern Art di New York. Il merito di questa acquisizione si deve all'allora direttore Alfred Hamilton Barr Jr (1902-1981). Barr dichiarò che le donne rappresentate erano «i cinque nudi femminili meno seducenti della storia dell'arte», tuttavia, nel catalogo per la grande retrospettiva del 1939 Picasso. Forty years of his art, lo definì «un capolavoro»[10].
Pablo Picasso è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi e innovativi artisti di tutti i tempi. La sua rara capacità di evolvere costantemente il suo stile, fino alla fine della sua lunga carriera, è stata una delle sue caratteristiche più distintive. Tuttavia, questa continua ricerca di nuove forme espressive è stata talvolta interpretata come sintomo di incertezza e mancanza di direzione. A tal proposito si espresse, nel 1957, il critico americano Clement Greenberg (1909-1994). Nel suo articolo, Picasso at seventy-five, scrive: «Picasso comincia a copiare sé stesso già alla fine degli anni Trenta, la sua arte sembra procedere in un vicolo cieco». Dopo aver elogiato i primi vent'anni della carriera di Picasso, Greenberg criticò aspramente le opere successive, giudicandole «di pessima qualità»[11]. In particolare, considerava le Tre ballerine del 1925 come una prima manifestazione di questa decadenza artistica, priva della «certezza» che caratterizzava le opere precedenti. Anche le Demoiselles d'Avignon secondo lui erano «per quanto superbe, prive di un'unità conclusiva»[12]. Seguendo il pensiero di Greenberg, il genio di Picasso si era ormai dissipato e nonostante i molteplici tentativi, non era più in grado di creare capolavori paragonabili a quelli dei grandi maestri del passato, come Michelangelo. Qualche anno prima anche lo scrittore catalano Eugeni d'Ors (1881-1954), che Steinberg chiama «falso amico»[13], scriveva una lettera a Picasso dove lo esortava a produrre un capolavoro[14]. Ma nessuna opera si eleva da sola al rango di capolavoro; diventa tale quando le si dà la giusta dose di "attenzione": proprio quello che fa Lawrence Gowning (1918-1991) in un articolo scritto nel 1965, in occasione dell'acquisizione, da parte della Tate Gallery di Londra, della sopracitata Le tre ballerine. Gowing dedica ben sei pagine dello scritto all'opera, descrivendola con osservazioni esatte e dettagliate[15], distinguendosi dal paragrafo dedicatogli da Greenberg.
Per tutta la vita Pablo Picasso ha cercato di confondere le acque, evitando innumerevoli critiche e pettegolezzi sul suo conto. I suoi dipinti, i suoi disegni e le sue sculture sono come un diario segreto. Qualcosa di intimo, che lui stesso riteneva strettamente personale e che molte personalità influenti hanno tentato di intaccare, screditandolo agli occhi del mondo, cercando di sfumare la nube di mistero che avvolgeva l'artista. Lo psicanalista Carl Gustave Jung (1875-1961), ad esempio, dopo aver visto la personale di Picasso alla Kunshtaus, a Zurigo, nel 1932, scrisse un saggio in cui diagnosticava sintomi di dissociazione nei suoi lavori, ritenendo la sua arte schizofrenica. Uno stile che rivelava una psiche frammentata e «attratta dalle forze demoniache e dalla bruttezza»[16]. Questa diagnosi fu ben presto oscurata dall'avvento della Seconda Guerra Mondiale e dal fatto che Jung venne visto come l'uomo che ammirava l'idealismo di Hitler[17]. Picasso invece emerse dalla grande guerra come un eroe culturale, grazie soprattutto all'enorme tela Guernica, realizzata in soli due mesi, a seguito dei bombardamenti nell'omonima città il 26 aprile 1937, considerata un poderoso grido contro la violenza della guerra. L'America, in particolar modo New York, ammirò l'artista per questo gesto. Agli occhi del mondo apparì come l'incarnazione di un ideale morale e intellettuale. Nonostante questo status di icona, Picasso desiderava mostrare il suo lato più umano. Il film documentario di Henri-Georges Clouzot (1907-1977) Le Mystere Picasso, del 1956[18], offre un ritratto intimo dell'artista, ritraendolo nel suo atelier mentre lavora, lontano dall'immagine pubblica di genio tormentato.
L'ammirazione e l'amore per Picasso non durarono a lungo. Nel 1972, una nuova ondata di critiche si abbatté sull'artista ormai anziano. Questa volta però, le critiche provenivano da ambienti vicino al mondo dell'arte stessa. Si istaurò una vera e propria posizione anti-Picasso, tanto che, come affermò l'artista Saul Steinberg (1914-1999), «se lodavi Picasso, eri perso»[19]. La sua fama, ancora una volta, veniva liquidata come un colpo di fortuna della sua giovinezza.
Fortunatamente, non mancarono coloro che continuarono ad apprezzare l'opera di Picasso nella sua interezza. A testimonianza di ciò, sempre nel 1972, in onore del suo novantesimo compleanno, il MoMa di New York organizzò una grande retrospettiva dedicata all'artista, curata da Wiliam Rubin (1927-2006). Nel catalogo della mostra, Rubin scrisse: «Durante questi cinque mesi di preparazione, ho avuto la fortuna di passare molte serate con Picasso, esaminando con lui le sue opere, sia quelle più recenti che quelle realizzate in passato (...) Nonostante la sua diffidenza verso le interviste, si presentò un'occasione in cui fu possibile porgli alcune domande riguardanti l'interpretazione di specifici quadri: durante una visita, portai a Picasso una bozza provvisoria di questo catalogo, che lo interessò molto. Sfogliando lentamente le tavole e riflettendo sui quadri, chiacchierammo e lui, con molta gentilezza, rispose a molte delle mie domande»[20]. Sempre nel 1972, Leo Steinberg, avendo terminato il saggio sulle Femmes d'Alger del 1955, tornò alle Demoiselles, producendo quella che oggi viene considerata la più attendibile e convincente interpretazione sulle cinque figure del cosiddetto Bordello filosofico.
In conclusione, Les Demoiselles d'Avignon sono state accolte con un misto di ammirazione e scandalo fin dalla loro creazione, e la loro interpretazione ha continuato a evolversi nel corso del tempo, rivelando la complessità della ricezione artistica, influenzata da fattori storici, culturali e sociali. Nonostante le reazioni inizialmente negative, l'opera di Picasso ha esercitato un'influenza profonda e duratura sull'arte del XX secolo, dimostrando l'audacia e la capacità innovativa dell'artista, che ancora oggi ispira artisti e scatena dibattiti.
-Asia Secondi-
Note
[1] André Salmon, La jeune peinture française, Paris, Societes de Trénté, 1912.
[2] Anna Ganteführer-Trier, Cubismo, Köln, Taschen, 2015, p. 11.
[3] Daniel Henry Kahnweiler, Der Weg zum Kubismus, München, Delphin-Verlag, 1920, pp. 26-27.
[4] José Corredor-Matheos, Daniel Giralt Miracle, La pittura oggi, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1976, pp. 25-26.
[5] Gertrude Stein, Autobiografia di Alice B. Toklas, Torino, Lindau, 2020.
[6] Gerard Georges Lemaire, Picasso, Firenze, Giunti, 1987, p. 29.
[7] Jolanda Nigro Covre, Arte contemporanea: le avanguardie storiche, Roma, Carocci, 2008, p. 40.
[8] Ganteführer-Trier, op. cit., p. 80.
[9] Leo Steinberg, The philosophical brothel, in "October", n. 44, primavera, 1988, p. 43.
[10] Alfred Hamilton Barr Jr. (a cura), Picasso. Forty years of his art, New York, the Museum of Modern Art, 1939, p. 60.
[11] Clement Greenberg, Picasso since 1945, in "ArtForum", vol. V, ottobre, 1966, p. 31.
[12] Clement Greenberg, Picasso at Seventy-Five, in "Art and Culture", Boston, Bacon Press, 1957, p. 63.
[13] Steinberg, op. cit., p. 67.
[14] Eugeni d'Ors, Epístola a Picasso, in "D'aci i d'allá", fasc. VI, estate, 1936.
[15] Lawrence Gowing, The Tate Gallery Report 1964-65, in "Director's Report", London, Her Majesty's Stationery Office, 1966, pp. 7-12.
[16] Carl Gustave Jung, Picasso, in "Opere", vol. X, tomo I, Torino, Boringhieri, 1985, pp. 405-412.
[17] Steinberg, op. cit., p. 65.
[18] Henri-Georges Clouzot (regia di), Le mystere Picasso, 1956.
[19] Steinberg, op. cit., p. 66.
[20] William Rubin (a cura), Picasso in the collection of the Museum of Modern Art, New York, the Museum of Modern Art, 1972, p. 11.
Bibliografia
André Salmon, La jeune peinture française, Paris, Societes de Trénté, 1912.
Daniel Henry Kahnweiler, Der Weg zum Kubismus, München, Delphin-Verlag, 1920.
Eugeni d'Ors, Epístola a Picasso, in "D'aci i d'allá", fasc. VI, estate, 1936.
Alfred Hamilton Barr Jr. (a cura), Picasso. Forty years of his art, New York, the Museum of Modern Art, 1939.
Clement Greenberg, Picasso at seventy-five, in "Arts", ottobre, 1957, pp. 40-47.
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Carl Gustave Jung, Picasso, in "Opere", vol. X, tomo I, Torino, Boringhieri, 1985, pp. 405-412.
Gerard Georges Lemaire, Picasso, Firenze, Giunti, 1987.
Leo Steinber, The philosophical brothel, in "October", n. 44, primavera, 1988, pp. 7-74.
Jolanda Nigro Covre, Arte contemporanea: le avanguardie storiche, Roma, Carocci, 2008.
Anna Ganteführer-Trier, Cubismo, Köln, Taschen, 2015.
Gertrude Stein, Autobiografia di Alice B. Toklas, Torino, Lindau, 2020.
Nel 1988, il critico Leo Steinberg (1920-2019) pubblica The Philosophical Brothel, un saggio in cui conduce un'attenta analisi della celebre opera del 1907, Les Demoiselles d'Avignon di Pablo Picasso (1881-1973), considerata paradigma della modernità. L'artista spagnolo ritrae un gruppo di donne che posano nude, su una sorta di palco, di fronte a un drappo sommariamente abbozzato che ricorda un sipario. In questa occasione Steinberg analizza brevemente la risonanza che queste cinque figure hanno avuto presso i contemporanei dell'artista, dedicando anche una parte alla fortuna e alla sfortuna di cui quest'ultimo ha goduto fino agli anni Settanta.








Origine immagini:
Copertina: Foto d'epoca del Bateau-Lavoir, datazione non chiara; fonte: Wikimedia Commons; licenza: Pubblico Dominio; foto ritoccata.
Pablo Picasso alla stazione di Victoria, diretto alla conferenza comunista della pace a Sheffield, 1950, Rijksmuseum; fonte: Wikimedia Commons; licenza: Creative Commons Zero.
Ritratto fotografico di Gertrude Stein col cane Pepe, Carl Van Vechten, 1934; fonte: Wikimedia Commons; licenza: Pubblico Dominio.
Henri Matisse, Ritratto di Marguerite Matisse, 1906, Musée Picasso, Paris; fonte: Wikimedia Commons; licenza: Pubblico Dominio.
Ritratto fotografico di Carl Gustav Jung, 1935 circa; fonte: Wikimedia Commons; licenza: Pubblico Dominio.
Amedeo Modigliani, Pablo Picasso e André Salmon davanti al Café de la Rotonde, Montparnasse, Paris, Jean Cocteau, 1916; fonte: Wikimedia Commons; licenza: Pubblico Dominio.