Ignoranti amanti della poesia

Sulle vecchi plebi italiane

SAGGI, RECENSIONI E ARTICOLI

Vincenzo Celia

9/3/20255 min leggere

Nel XIX secolo, a Reggio Calabria, i popolani si tramandavano, cantandoli, questi versi:

Sini 'na perla, si la greca Lena

pe' cui si strusse la città trojana.

Tu porti la capiddi a Matalena,

tu rassumigghi a Lucrezia romana.[1]

Ossia:

Sei una perla, sei la greca Elena,

per cui si distrusse la città troiana.

Tu porti i capelli alla Maddalena,

tu assomigli a Lucrezia romana.

Che i popolani conoscessero Maddalena non stupisce, ma il fatto che conoscessero Elena, Troia e quella che ipotizzo essere Lucrezia Borgia, nipote del pontefice romano - personaggio legato al fascino carnale come Elena e Maddalena - lascia sorpresi. Eppure, nelle sue Memorie, Giacomo Casanova (1725-1798), descrivendo la famiglia di un prete a cui era stato affidato da ragazzino, diceva:

Della famiglia del dottor Gozzi facevano parte la madre, che aveva molto rispetto per lui perché, essendo nata contadina, non si riteneva degna di avere un figlio prete e, per di più, dottore: era brutta, vecchia e bisbetica; il padre, calzolaio, che lavorava tutto il giorno e che non rivolgeva mai la parola a nessuno, nemmeno a tavola. Diventava socievole solo nei giorni di festa, che passava regolarmente all0osteria con gli amici; tornava a casa a mezzanotte, ubriaco fradicio, declamando il Tasso. Quand'era in quello stato, il poveraccio non si decideva mai ad andare a letto e diventava violento se volevano costringervelo.[2]

Non ci troviamo, evidentemente, di fronte a una famiglia di accademici; eppure, il nostro calzolaio non solo conosce Tasso, ma ha interiorizzato i suoi versi a tal punto che, nei fumi dell'alcol, è a quello che la sua mente si volge. Appare di colpo verosimile una delle scene descritte dal medievale Franco Sacchetti nelle sue Trecento novelle: un fabbro che, mentre batte il ferro, canta versi di Dante, oltre che versi su Tristano e su Lancillotto.[3]

A dire il vero, non è solo l'attrazione verso certa poesia colta a segnalare una non mediocre sensibilità presso gli antichi popolani, ma anche una vasta quantità di immagini presenti nei canti del popolino: immagini evocative, liriche, spesso delicate, che ricordano non di rado quelle dei poeti simbolisti. Per fare qualche esempio, nelle Marche si cantava:

Quanne cammine che 'nu passe liente,

luce la terra come 'nu diamante.[4]

Oppure:

Quanno nascesti tu nacque bellezza,

spuntò lo tulipano in mezzo all'acqua,

lo sole s'arrestò per l'allegrezza.[5]

In Liguria invece:

S'telle del cielu, fëmi d'ün favure;

fë cresce' ques'ta notte sciüs'ant'ure;

pregate 'n augerin si metta j'are,

ch'u vagga 'n cielu a trattener le ure.[6]

Ossia:

Stelle del cielo, fatemi un favore;

fate crescere questa notte sessant'ore;

pregate un uccellino di mettersi le ali,

che vada in cielo a trattenere le ore.

Così in Calabria:

Hiuri di l'ortu:

chiuditi, ch'eu pi' la guerra partu,

e non t'apriri cchiù, si restu mortu.[7]

Ossia:

Fiore dell'orto,

chiuditi, che io per la guerra parto,

e non t'aprire più, se resto morto.

Ma immagini di questo calibro si sentivano cantare invero in tutt'Italia e in tutti i dialetti, come si copre andando a leggere le molte raccolte di canti popolari messi per iscritto dagli studiosi.

D'altra parte, non sono mancati i poeti italiani colti che hanno guardato con interesse alla poesia popolare. Pascoli inserisce nelle sue Myricae diverse scene di canto proletario[8], mentre più o meno nello stesso periodo i librettisti Menasci e Targioni-Tozzetti inseriscono nel celebre melodramma Cavalleria rusticana versi scritti nello stile proprio dei popolani[9]. In Davanti San Guido, Carducci si rivolge alla nonna defunta rievocando in versi simil-popolareschi una fiaba popolare:

O nonna, o nonna! deh com'era bella

Quand'ero bimbo! ditemela ancor,

Ditela a quest'uom savio la novella

Di lei che cerca il suo perduto amor!

- Sette paia di scarpe ho consumate

Di tutto ferro per te ritrovare:

Sette verghe di ferro ho logorate

Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,

Sette lunghi anni, di lacrime amare:

Tu dormi a le mie grida disperate,

E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. -

Deh come bella, o nonna, e come vera

È la novella ancor! ... [10]

Un legame con la poesia popolare è stato poi riconosciuto nel modo di scrivere di quello che, dopo Lorenzo il Magnifico, è il poeta mediceo per eccellenza: Poliziano[11]. In verità si potrebbero comporre parecchi volumi sul rapporto tra poesia popolare e poesia colta, anche limitando il campo alla sola poesia italiana.

Forse è superfluo precisarlo, ma il vasto mondo poetico che stiamo trattando è veramente il frutto di un sentire diffuso, perché è impensabile che la poesia popolare si sia retta in piedi grazie a pochi popolani particolarmente dotati: quando l'unico strumento di trasmissione è quello fragilissimo dell'oralità deve esserci lo sforzo più o meno consapevole di un gran numero di persone perché certe cose possano trasmettersi nel tempo - tramandarsi - e nello spazio, dando vita a uno stile poetico che accomuna i territori. D'altra parte, che la poesia popolare fosse espressione di intere comunità era nozione diffusa fra quei colti che, per l'epoca in cui vissero, poterono osservare tale poesia per via diretta[12].

Onde evitare che l'articolo si muti in trattato, termina qui il rapido excursus. A cosa è servito? A dare un sentore di come la sensibilità poetica non sia affatto condannata ad essere appannaggio esclusivo di un'élite intellettuale, e di come sia piuttosto fragile l'ipotesi di un nesso necessario tra alto tasso di scolarizzazione e diffuso amore per l'arte della parola. Che questi sentori possano essere utili a chi vuole prendere parte, per quanto possibile, allo sforzo di sollevare il popolo italiano dalla miseria spirituale che attualmente lo imprigiona. Certo, per provare a capire come si sia passati dai calzolai ammiratori di Tasso ai moderni laureati ammiratori di Sanremo non basta parlare di poesia colta e poesia popolare, ma bisogna anche analizzare quel mondo di mezzo che ospita la poesia semicolta e la cultura pop. Ad altri articoli sia riservato questo compito. Restate sintonizzati.

Gerard van Honthorst, L'allegro suonatore, 1623, Amsterdam, Rijksmuseum

Giosué Carducci

Giovanni Pascoli

Eugenio Zampighi, Musica in famiglia, collezione privata

Note bibliografiche

[1] Mario Mandalari, Canti del popolo reggino, Napoli, Cav. Antonio Morano, 1881, p. 160.

[2] Giacomo Casanova, Memorie scritte da lui medesimo, Milano, Garzanti, 2021, p. 12.

[3] Davide Solmi, Storia della musica. Dalle origini al Seicento, Firenze, Le Monnier, 2019, p. 161.

[4] Pier Paolo Pasolini, Canzoniere italiano, Milano, Garzanti, 2019, p. 287.

[5] Pasolini, op. cit., p. 288.

[6] Pasolini, op. cit., p. 176.

[7] Mandalari, op. cit., p. 171.

[8] Giovanni Pascoli, Myricae, Segrate, 2018, p. 242, 407, 420.

[9] Giovanni Targioni-Tozzetti - Guido Menasci, Cavalleria rusticana, Venezia, Sonzogno, 1981, p. 7, 18.

[10] Giosuè Carducci, Poesie, Milano, Feltrinelli, 2020, p. 148-149.

[11] Angelo Poliziano, Poesie italiane, Segrate, Rizzoli, 1976, p. 7.

[12] I classici del pensiero italiano - Vol. 16. Benedetto Croce, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana - Il Sole 24 ORE, 2006, p. 342

Origine immagini

Federico Zandomeneghi, Mendicanti sui gradini del monastero Aracoeli. Impressioni di Roma, 1872, Pinacoteca di Brera; fonte: Wikimedia Commons; permessi: pubblico dominio; immagine ritoccata.

Gerard van Honthorst, L'allegro suonatore, 1623, Amsterdam, Rijksmuseum; fonte: Wikimedia Commons; permessi: pubblico dominio.

Ritratto fotografico di Giosuè Carducci; fonte: Wikimedia Commons; permessi: pubblico dominio.

Ritratto fotografico di Giovanni Pascoli; fonte: Wikimedia Commons; permessi: pubblico dominio.

Eugenio Zampighi, Musica in famiglia, collezione privata; fonte: Wikimedia Commons; permessi: pubblico dominio.

Vincenzo Celia